venerdì 24 dicembre 2010

Centomila tonnellate: Il vero aspetto degli attacchi americani sulle coste atlantiche

Un altro articolo di "Vedetta Atlantica"


La flotta subacquea italiana dall'inizio della guerra che da qualche mese si è trasformata da europea in mondiale, ha dovuto saputo assolvere ai suoi molteplici compiti con perizia conseguendo risultati veramente sostanziali. Il teatro di questa immensa battaglia sul mare che gli avvenimenti le hanno man mano offerto sono stati tempestivamente occupati e in ciascuno i minuscoli scafi di acciaio hanno portato il oro contributo più o meno decisivo, dimostrando ampiamente al mondo intero qual è la tempra degli uomini che li armano.

Nello scacchiere Atlantico con la ristretta aliquota di unità che, lasciate le basi metropolitane si è trasferita sulle coste dell'oceano, i risultati ottenuti sono in relazione il numero dei sommergibili impiegati, forse più appariscenti. E' una forma di guerra particolare quella che sì combatte in oceano ontro il traffico mercantile e non può essere paragonata a quella che le unità metropolitane silenziosamente, pazientemente combattono in Mediterraneo. Lì il traffico nemico non esiste quasi più e quando è indìspensabile lasciare i suoi muniti porti per raggiungere le basi lontane che hanno bisogno di rifornimenti per resistere alla pressione sempre più forte a cui sono soggette, ciò avviene con disposizioni di convogliamento e scorta tali che obbligano le nostre navi di superficie a collaborare con i sommergibili per stroncare potentemente il tentativo. Con tante unità da guerra nemiche in mare i nostri sommergibili vengono allora impiegati principalmente contro di esse asciando alle veloci unità di superficie il compito di distruggere il nucleo di quelle destinate al trasporto dei rifornimenti.

In Atlantico invece il nemico non può accompagnare e difendere per migliaia di miglia il suo traffico necessariamente sempre presente in mare e affida quindi alle numerose piccole unità di scorta il compito di traghettarlo dalle coste americane a quelle dell'Inghilterra. Il bersaglio per eccellenza diventa quindi evidentemente il naviglio mercantile. Con la dichiarazione di guerra all'America il teatro si è ampliato e se da una parte ha ingrandito per i sommergibili dell'Asse le zone da battere, dall'altra ha aumentato le possibilità di attacco che oggi può essere effettuato praticamente contro qualsiasi nave incontrata per mare. Pur non esistendo una vera e propria zona di blocco dichiarato, le unità subacquee non hanno dubbi sulle regole da seguire. Indiscutibile vantaggio questo che ha in certo qual modo semplificato il compito dei comandanti di sommergibili liberandoli dalle pastoie che fino ad oggi avevano legato le loro azioni.

Ampliandosi il teatro della battaglia Atlantica, con l'entrata in guerra dell'America le unità hanno preferito cercare il nuovo nemico davanti alle sue lontane basi e lungo le sue coste. Forse ciò non è parso a tutta prima possibile agli strateghi americani che debbono aver incominciato a capirlo soltanto dopo le prime settimane di guerra, caratterizzate dai disastrosi bilanci sulle perdite subite dal loro naviglio mercantile. Nelle perdite totali che hanno già largamente superato il mezzo milione di tonnellate, le nostre unità hanno raggiunto nella prima ondata la cospicua cifra di contornila tonnellate. I bollettini hanno già dato i nomi dei comandanti ed i successi parziali da questi ottenuti, i giornali hanno già diffusamente parlato delle loro azioni. Un senso di ammirazione per i nostri valorosi equipaggi si e diffuso per la nazione, misto ad un certo stupore per le possibilità impensate dei nostri sommergibili che sono riusciti non senza difficoltà a portare la loro

offesa così lontano dalle basi di partenza.

Le ripercussioni di questi attacchi portati fin sotto le coste americane e nell'interno del mare dei Caraibi sono vaste. A parte le cifre raggiunte dalle perdite di naviglio nemico, ciò che più ha importanza è l'obbligo cha fin dal primo momento ha avuto la flotta americana di difendersi in casa propria. Le speranze che l'Inghilterra dopo la effettiva entrata in guerra dell'alleata America accarezzava, sono cadute. La flotta americana non ha potuto e non potrà nemmeno in seguito, distogliere dal fronte costiero atlantico quel poco delle sue forze che le vicende della guerra in Pacifico le hanno ancora permesso di lasciare. Essa dovrà pensare a difendere il traffico lungo le sue coste e dovrà abbandonare per sempre i convogli inglesi che saranno obbligati a tentare da soli le traversate dell'Oceano. Non si tratta quindi unicamente di semplici perdite di naviglio mercantile che i varii milioni di operai dei cantieri americani stanno cercando di ricostruire in tutta fretta; le varie centinaia di migliaia di tonnellate affondate in America dai sommergibili dell'Asse obbligheranno la flotta inglese a continuare il suo duro lavoro di scorta al traffico già da mesi al limite di resistenza senza possibilità di aiuto. Il traffico diretto in Inghilterra dovrà essere scortato dalla « Home Fleet »; e le perdite da essa subite fino ad oggi non potranno permetterle di assicurare la navigazione ai convogli così necessari alla Madre Patria.

I sommergibili dell'Asse portando l'offesa nei più lontani punti dell'Atlantico, hanno creato una nuova zona pericolosa, immensa, nella quale la potenzialità di difesa nemica si sparpaglia. Ne nasce quindi una maggiore possibilità di attacco da parte dei nostri sommergibili che non potrà non dare i risultati più lusinghieri.

Inseguimento di un convoglio

L'articolo che segue è tratto da "Vedetta Atlantica"

Aspettare un convoglio non è cosa divertente. E l'attesa diventa ancora più pesante quando si tratta di doverlo aspettare per molti giorni.

Si vive allora una vita strana di irrequietezza e non si vede l'ora che i ben conosciuti fumi all' orizzonte indichino l'avvicinarsi del ghiotto boccone. Altera tutto appare più chiaro, i nervi si distendono e si passa di colpo alla fase diciamo operativa, fatta di mille astuzie di piccole manovre, dalle quali dipende la possibilità di conseguire il successo tanto tenacemente voluto, tanto lungamente atteso.

In zona questa volta ci siamo soltanto noi; gli altri, molti altri, sono lontani a minacciare il traffico nelle zone più impensate, dove il nemico non può supporre che ci si possa arrivare. Ma la nostra arma subacquea arriva dappertutto; per essa non ci sono limiti, \non ci sono confini. Ripensando alla vita di quei lunghi giorni nei quali si è atteso il convoglio, giorni uguali passati fra cielo e mare come appesi alla cappa plumbea che ci ha perennemente sovrastato, pare di aver fatto qualcosa di inutile. Perché soltanto dopo molti giorni il convoglio è finalmente in vista. Verso il tramonto quando già si stava per decretare col cambio della guardia, stava infatti salendo in plancia il primo turno di notte, la fine di un'altra giornata vuota, spesa inutilmente a scrutare coi binocoli ogni pezzette di orizzonte, quando già il comandante aveva detto « Ci vuole pazienza, sarà per domani », ecco che lontano, molto lontano, verso il chiarore roseo dell' orizzonte si vedono dei piccoli pennacchi di fumo nero. E' il convoglio, non c'è dubbio, che naviga ad una quindicina di chilometri da noi. Prora sopra a tutta forza. Bisogna essergli vicino prima che faccia buio perché poi è difficile ritrovarlo; vicino per vederlo e' seguirlo nei suoi zigzagamenti sregolati di lungo serpe preistorico, ma non troppo, che la scorta ha gli occhi aperti ed è pronta a mettere la prua addosso. Se cosi succedesse tutto sarebbe perso; bisogna ficcarsi sotto, molto sotto e aspettare che il rumore delle eliche di chi ci sta cercando, si allontani per ritornare a galla ed avere la magra soddisfazione di non trovare più nulla. Siamo soli in zona e bisogna fare molta attenzione a non essere scoperti perché il nostro compito questa volta è quello seguire il convoglio, mantenere il contatto e dar così modo ad n sommergibili che stanno operando lontani, di accorrere in massa prima che le coste nemiche siano vicine. La missione che abbiamo è fra quelle più faticose. Bisogna continuamente intuire la manovra del nemico prima che sia eseguita e pazientare e star buoni anche quando le sagome scure dei piroscafi sono invitanti, cinque giorni è durato questo lavoro di pazienza. Di notte la cosa è relativamente facile perché ci si può avvicinare abbastanza da non essere costretti a tenere continuamente gli occhi al binocolo che stanca maledettamente la vista. Col buio si può azzardare molto e particolarmente nelle ore non di luna. Si può allora giocare di astuzia con la scorta sfuggendo alle sue ricerche, aspettando il momento buono per riprendere l'inseguimento, quando le piecole navi chiare sicure di non essere seguite raggiungono veloci ivoglio dal quale si sono temporaneamente distaccate. Ma di giorno le cose cambiano. Bisogna star lontani, molto lontani, alle

volte al di là del raggio di visibilità ed intuire ciò che il convoglio fa per poter sempre essere in condizioni di prendere contatto quando necessario e segnalare la posizione agli altri.

La vita a bordo procede come sempre. Nell'interno dello scafo si continua a lavorare serenamente, a riparare le piccole avarie che si manifestano, a preparare le armi. Non sembra davvero di essere così vicini al nemico, così prossimi all'azione.

Ormai la gente si è abituata e dalle rapide accostate che fanno sbandare il sommergibile intuisce la manovra. Tutta la barra a dritta. Si sente il rumore del timone che gira per lungo tempo e si capisce che qualcosa sta accadendo. I motori aumentano di velocità. Forse qualche cannoniera nella sua disordinata corsa ci ha messo la prua addosso. Ci ei allontana per evitare di prendere l'immersione. Infatti qualche minuto dopo il solito rumore del timone e questa volta lo scafo sbanda dall'altra parte. Si ritorna verso il nemico. II pericolo di essere avvistati è passato. Il guaio è che i convogli hanno anche la loro brava scorta aerea e contro questa l'unica cosa possibile per non farsi vedere, è sparire. Sono secondi palpitanti quelli dell'immersione; un lungo fischio echeggia nell'interno. La vita ha un momento di arresto. Tutti prendono posto ai loro macchinari. Si va sotto. Quanto ? Non importa. Il silenzio che accompagna la manovra è rotto soltanto dalla voce del timoniere che dice la quote. Ci si ferma dove ha deciso il Comandante, in relazione allo stato del mare, alla luminosità dell'acqua, a tante altre cose. Sopra, si immagina il grosso aereo rombante passare su di noi ignaro. Bastano pochi minuti. Si ritorna su a vedere. Si riprende la corsa verso il fumo nero che il convoglio ha lasciato dietro di sé. E così avantri per tanti giorni fino a che gli altri sommergibili sono finalmente vicini, tanto vicini da vedere il convoglio, da poterlo seguire per sferrare insieme l'attacco. Allora, il nostro compito finisce o meglio cambia. Non più mantenere il contatto, ma attaccare, attaccare a fondo con tutti i mezzi e affondare quanto più è possibile. E' la tanto attesa conclusione che riempie di entusiasmo anche l'ultimo marinaio di bordo, anche quello che non viene mai in coperta e che' non vede lo scoppio dei siluri. Questa volta però per noi non è possibile fare molto; nelle riserva di bordo non c'è più molta nafta per correre; la base alla quale bisogna ritornare è lontana. Fatti e rifatti i conti con. tutte le ottimistiche previsioni di chi vuole ad ogni costo agire, il Comandante ha deciso di ritornare dopo il tramonto. Due ore di possibilità e poi bisogna iniziare il rientro. In due ore se si ha fortuna si può fare molto !

Altri sommergibili sono già a contatto e si può quindi operare. Ma bisogna far presto, perché se no, si arrischia di rimanere a mezza strada senza una goccia di combustibile. Il convoglio non. è lontano e caduta che sia la notte, camminando a tutta forza lo si può raggiungere ancora nel limite di tempo stabilito. Il mare che è un pò mosso scende dritto di prora e si spezza contro la torretta di acciaio, dòpo aver sommerso la prua tagliente dello scafo. I motori girano al massimo. In plancia il Comandante è immobile, lo sguardo sul nemico che nel buio si intravede appena. Sta pensando forse da quale parte convenga attaccare. Tutti tacciono. Mancheranno pochi minuti all'accostata che punterà i siluri contro le sagome scure dei lenti piroscafi carichi, id un tratto, qualcosa succede improvviso. Sul fianco di un grosso piroscafo di testa che si vedeva appena, la scoppio rossastro di un siluro sale sul cielo buio. Quasi nello stesso istante un'altro scoppio sordo alza la sua colonna nera sui fianchi di una sagoma più nterna. Maledizione ! L'attacco è incominciato troppo presto. Bastava che l'altro avesse atteso ancora qualche minuto. Ma come poteva sapere di dover attendere ?

Non c'è tempo da perdere. Qua e là si accendono razzi colorati, Dengala illuminanti, fasci di riflettori. In pochi istanti è dato .'allarme e la zona è illuminata a giorno. Come fare ad avvicinarsi ? Bisogna tentare. Nessuno parla in plancia. Tutti sanno che il Conandante tenterà. Tutta la barra a sinistra. Massima forza. E' questione di secondi. Si tratta di arrivare afferrando il risultato tanto atteso o non arrivare. Secondi che sembrano eterni, lenti a passare, nei quali sì vive, si sente, si vede ogni minimo particolare. Davanti a noi ancora troppo lontano un piroscafo naviga nel chiarore dei bengala appesi al cielo nero. Sarà la nostra vittima se la fortuna ci assiste. Ancora qualche decina di metri, ancora qualche secondo.

« Fuori uno — Fuori due ».

La sirena ha dato il suo ordine. Rapida immersione. Bisogna sfuggire alla scorta che non può non averci visto. Quando rivedremo la luce del. giorno, sul mare oleoso che ci circonda siamo soli. La tragedia è passata. Il convoglio ha proseguito lasciando sul posto qualche suo membro. Ne fanno fede i rottami che galleggiano pigri sull'onda lunga dell'oceano.

Vedetta Atlantica



La Base Atlantica aveva un settimanale illustrato intitolato Vedetta Atlantica. Ne pubblico dal numero del 21 aprile 1942 la copertina e l'ultima pagina, particolarmente interessante perchè mostra alcune fotografie della vita della base.

Il sommergibnile Brin e il Sacro Cuore di Gesù

Il 26 febbraio 1941 il Reverendo Padre Messori Roncaglia, Tenente Cappellano della Base Atlantica, consacrava al Sacro Cuore di Gesù il sommergibile Brin. In ottemperanza alle clausole armistiziali il sommergibile Brin fu demolito. Durante questa dolorosa operazione fu ritrovata la sacra immagine che fu recapitata al Comandante Longanesi Cattani, ex-Comandante del Brin, che a sua volta la restituì a Padre Messori con questa lettera di accompagnamento:



La Spezia, 12 marzo 1969

Carissimo,
con i sentimenti che tu ben con0osci io ti restituisco la preziosa immagine che tu donasti al nostro Brin e che ci ha sempre protetti e guidati. Tu potrai conservarla insieme ai nostri ricordi, alla nostra emozione, al nostro affetto per te.
An cora grazie con tutto il cuore a nome di noi tutti.
Un abbraccio con antico fedele cameratismo dal tuo Angelo Longanesi Cattani.